Su commissione della Sopraintendenza Archeologica di Roma e in collaborazione
con l’Arch. Andrea Bruno, è stato affrontato il problema della preservazione
di un monumento datato II sec. d.C. dagli agenti inquinanti che ne stavano
intaccando in maniera consistente la struttura.
Una grande teca-laboratorio atta a isolare la Colonna di Marco Aurelio dall’esterno ma lasciandola al contempo visibile: non un impalcatura tradizionale, ma una struttura trasparente costituita da quattro coppie di montanti controventati a sostegno delle grandi superfici vetrate di chiusura.
Alla base della colonna era prevista la realizzazione di un area dedicata
all’alloggiamento degli impianti e dei servizi per il laboratorio, oltre che una
piccola area museale per avvicinare i cittadini all’opera di restauro.
Particolari filtri avrebbero permesso il controllo del microclima che si sarebbe
creato all’interno della teca, in modo da mantenere un’umidità relativa al di sotto
del 40% e avere aria non contaminata dall’inquinamento dell’ambiente
circostante.
La soluzione proposta si poneva all’avanguardia
sia nel concetto di allestire per il restauro un
cantiere-museo sia nelle soluzioni tecnologiche
adottate, con sistemi di telecamere che avrebbero
consentito di seguire in remoto e in diretta i
lavori di recupero.